In base alle ultime rilevazioni il personal computer è attualmente diffuso nel 50,1 per cento delle famiglie italiane. Ma basta avere in casa un figlio in età scolastica per veder crescere sensibilmente questi valori: nelle famiglie con un minorenne l’uso del computer raggiunge il 74,3 per cento, mentre l’accesso a Internet tocca punte del 61 per cento. Viceversa tra gli anziani la diffusione delle tecnologie è quasi un’eccezione: “Le famiglie costituite da sole persone di 65 anni e più – commentano all’Istat – continuano ad essere escluse dal possesso di beni tecnologici.
Appena il 7,1 per cento di esse possiede il personal computer, soltanto il 5,5 per cento ha l’accesso a Internet ed è quasi del tutto inesistente la diffusione di connessioni a banda larga”. È per altro significativo rilevare come l’Istituto statistico nazionale consideri già come “potenziale utente” del PC un bebè appena svezzato che forse ancora porta il pannolino! “Nel 2008 il 44,9 per cento della popolazione di 3 anni e più utilizza il personal computer; se si considera la frequenza di utilizzo, inoltre, si evidenzia che il 24,4 per cento delle persone di 3 anni e più usa il personal computer tutti i giorni”. Per l’uso di Internet, invece, la soglia si sposta a soli sei anni (“Il 17,7 per cento delle persone di 6 anni e più usa Internet quotidianamente”). Non meraviglia, invece, il fatto che il picco di impiego del PC si ritrovi tra i 15 e i 19 anni (addirittura si supera l’80 per cento) e per Internet tra i 15 e i 24 anni (oltre il 71 per cento).
Ancor più dell’età, però, fa la posizione professionale. Nelle famiglie con capofamiglia dirigente, imprenditore o libero professionista il possesso del personal computer raggiunge l’83,1 per cento; l’accesso a Internet il 72,8 per cento. All’estremo opposto le famiglie il cui capofamiglia è nella posizione di operaio, anche se il divari si sta gradualmente attenuando.
Altro elemento di differenziazione, il posizionamento geografico. “Il personal computer, ad esempio, è diffuso in uguale misura al Centro e nel Nord (oltre il 52 per cento) e meno nel Sud (44,9 per cento). Inoltre, nel Centro-Nord si riscontra la quota più alta di famiglie con accesso ad Internet (circa il 45 per cento) e alla connessione a banda larga (circa il 30 per cento), mentre nel Sud e nelle Isole le quote scendono rispettivamente al 35 e al 21 per cento circa”. Fatto certamente negativo, il divario tra il Settentrione e il Mezzogiorno si è allargato nel corso degli ultimi dodici mesi. Restando in tema di connessioni Internet, il problema merita un approfondimento non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Lo strumento Internet viene infatti spesso sotto utilizzato. Come se all’interno di una cucina si impiegasse il forno a microonde unicamente per scaldare il latte della colazione.
Se, infatti, il 76 per cento dei navigatori usa Internet per inviare o ricevere e-mail e il 66 per cento per ricevere informazioni su merci e servizi, il ricorso a servizi bancari via Internet scivola – ad esempio – alle soglie del 28 per cento, la lettura di giornali, news e rivista si attesta al 38 per cento (ma il valore è in forte calo rispetto al 43 per cento del 2007). Poco sfruttata l’opportunità di “cercare lavoro o mandare una richiesta di lavoro” (solo il 16,8 per cento degli utilizzatori del web) e ancor meno la frequenza di corsi on line (4,1 per cento nel 2008 rispetto al 5 per cento del 2007).
Anche per quanto concerne l’acquisto di beni e servizi on line siamo ancora piuttosto lontani da quello che succede nelle economie più dinamiche del Pianeta. “Il 23,2 per cento degli individui di 14 anni e più che hanno usato Internet negli ultimi 12 mesi precedenti l’intervista – spiegano gli esperti dell’Istat – ha ordinato e/o comprato merci e/o servizi per uso privato nello stesso arco temporale”. In termini assoluti si tratta di poco più di 4,8 milioni di individui.
Dunque di un 10 per cento circa della popolazione (escludendo i troppo giovani che non hanno l’età per comprare in prima persona). Infine uno sguardo alle motivazioni citate da coloro che non usano Internet. In presenza di risposte multiple, la prevalente riguarda la poca o nulla dimestichezza con la tecnologia e dunque l’incapacità di uso (41 per cento). In seconda posizione la convinzione che Internet sia inutile o non interessante (25 per cento).
Un 13 per cento degli italiani “senza accesso” è giustificato dal fatto che – comunque – utilizza una connessione altrove (principalmente sul luogo di lavoro).
Il fattore prezzo è tutto sommato secondario: meno del 24 per cento dichiara di non usare Internet per i costi eccessivi.
Il web ci relega in coda all’Europa
Sono molti i settori tecnologici nei quali il Bel Paese denuncia un gap rispetto ai principali competitor europei. Ma quello forse più evidente riguarda proprio la diffusione delle connessioni Internet all’interno delle famiglie italiane con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni. Le nostre performance ci pongono in coda al gruppo, anche alle spalle di molte delle nazioni dell’Est di più recente ingresso nella Ue.
L’Italia con 42 famiglie su 100 “connesse” davvero sfigura rispetto ai risultati dell’Olanda (86 famiglie su 100), della Svezia (con un valore pari a 84), della Danimarca (82). Ma – come detto – anche di Paesi apparentemente giustificati nell’essere in maggiore ritardo quali ad esempio la Slovenia (59 per cento), l’Estonia o la Slovacchia (entrambe a quota 58), la Lettonia, la Lituania o la Polonia. Più in ritardo rispetto a noi risultano essere solo Grecia, Romania e Bulgaria. Altrettanto evidente appare il divario se si considera la qualità della connessione e quindi il ricorso alla banda larga. Il tasso di penetrazione in Italia è fermo al 31 per cento, rispetto al 48 per cento della media europea e a valori di eccellenza quali il 74 per cento dell’Olanda e della Danimarca o il 71 della Svezia. Per questa voce siamo dunque al ventesimo posto della classifica comunitaria. Terzo dato che deve far riflettere, rispetto al 2007 si evidenzia un incremento dell’accesso ad Internet per tutti i Paesi europei. Con una sola eccezione: quella dell’Italia, che regredisce – appunto – dal 43 al 42 per cento.