Imprese italiane e protezione ambientale: si continua a “curare” anziché “prevenire”

Data:
11 Marzo 2009

Quanto costa al sistema imprenditoriale nostrano l’attenzione per la variabile ambientale? O, meglio, quanto investono le nostre aziende del comparto industriale per la protezione dell’ambiente? Nelle scorse settimane l’Istat ha risposto a questa domanda, pubblicando il Rapporto annuale (aggiornato a fine 2006) dal titolo: Gli investimenti delle imprese italiane per la protezione dell’ambiente. I risultati resi noti dall’Istituto statistico nazionale sono il frutto di due differenti indagini: la prima condotta su un campione di piccole e medie imprese con meno di 100 addetti; la seconda a carattere censuario sulle aziende di dimensione superiore.

“Nel 2006 – si legge nel documento dell’Istat – la spesa per investimenti ambientali delle imprese dell’industria in senso stretto è stata di 1.986 milioni di euro, con un aumento del 4,2 per cento rispetto all’anno precedente. Dall’analisi per classi di addetti delle imprese emerge che la crescita è totalmente attribuibile alle imprese con almeno 250 addetti. Con 1.664 milioni di euro (più 9,8 per cento rispetto al 2005) realizzano quasi l’84 per cento del totale degli investimenti ambientali”.
Nelle unità produttive di medie o piccole dimensioni si registra, al contrario, un netto ridimensionamento: meno 17,4 per cento, sempre rispetto all’anno precedente.

C’è un dato che più di altri appare significativo e che illustra come, ancora oggi, si preferisca curare piuttosto che prevenire. I cosiddetti investimenti end of pipe – quelli effettuati in attrezzature, installazioni o dispositivi per il controllo e l´abbattimento dell´inquinamento che agiscono dopo che questo è stato generato – continuano ad essere la voce prevalente. In particolare, nel 2006, rappresentavano il 63,3 per cento del totale. Il restante 36,7 per cento è relativo agli investimenti integrati – ovvero quelli in attrezzature, installazioni o dispositivi che prevengono o riducono alla fonte l´inquinamento generato dal processo produttivo – che presuppongono quindi l’adozione di tecnologie più avanzate a monte.

Quanto ai campi di intervento, da un anno con l’altro si evidenziano cambiamenti davvero significativi. Nel 2006, ad esempio, rispetto all’anno precedente si rileva una netta riduzione dell’incidenza delle spese per la protezione dell’aria e del clima (scese al 32,5 per cento rispetto a poco meno del 37 per cento della precedente rilevazione) mentre aumenta la quota di spesa destinata, complessivamente, a protezione e risanamento del suolo e delle acque, abbattimento del rumore e delle vibrazioni, protezione della biodiversità e del paesaggio, protezione dalle radiazioni, ricerca e sviluppo per la protezione dell’ambiente (41,4 per cento nel 2006).

La spesa in impianti e attrezzature per la gestione delle acque reflue e per la gestione dei rifiuti è pari – rispettivamente – al 17 per cento e al 9,1 per cento degli investimenti complessivi.
Spostando ora l’analisi sul campo di attività delle imprese che investono in questo settore, la quota più consistente di investimenti ambientali spetta alle attività di fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio e trattamento di combustibili nucleari (26,3 per cento). A seguire, la fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (22,5 per cento) e la fabbricazione di mezzi di trasporto (12,1 per cento). Minimo, invece, il contributo agli investimenti ambientali che discende dalle industrie conciarie e della fabbricazione dei prodotti in cuoio pelle e similari (0,1 per cento del totale) e quello dell’industria del legno (0,5 per cento).

“Di particolare interesse è la distribuzione per settore ambientale degli investimenti realizzati dai diversi settori di attività economica – scende ancora più nel dettaglio l’indagine Istat – che riflette il diverso tipo di inquinamento ambientale che le imprese generano in relazione alle caratteristiche specifiche dei propri prodotti e dei relativi processi produttivi. Con riferimento al 2006, le industrie del legno e dei prodotti di legno e della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo presentano una maggiore attenzione verso il settore aria e clima, che assorbe rispettivamente il 68,5 ed il 51,5 per cento dei propri investimenti ambientali.

Le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco registrano una maggiore quota degli investimenti ambientali realizzati nella gestione delle acque reflue (50,3 per cento) mentre le altre industrie manifatturiere e quelle conciarie mostrano un impegno prevalente nella gestione dei rifiuti (rispettivamente 51,3 e 49,0 per cento).

Infine, nelle industrie della fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento combustibili nucleari si evidenzia una quota rilevante di spesa (75,5 per cento degli investimenti ambientali) nelle attività di protezione dell’ambiente che raggruppano la protezione e recupero del suolo e delle acque di falda e di superficie, nella protezione del paesaggio e della biodiversità, nella protezione dalle radiazioni e nelle attività di ricerca e sviluppo finalizzate alla protezione dell’ambiente (raggruppati nella voce altro)”.

L’articolo di Davide Canevari su http://www.giornaleingegnere.it/

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