Piani di recupero: quali limiti alle vicende modificative?

Data:
10 Dicembre 2008

In via generale, gli interessi ambientali, storici e culturali ben possono confluire nella disciplina urbanistica in quanto effettivamente e direttamente incidenti sul territorio e – in virtù del potere dell’amministrazione comunale di valutare in sede di esercizio della funzione urbanistica anche tali rilevanti interessi storico – possono perciò trovare adeguata sistemazione e tutela nello strumento urbanistico generale; tuttavia, detti interessi debbono essere rintracciabili nello strumento urbanistico generale e non possono essere, quindi, invocati in sede di esame della richiesta di variazione (non essenziale) di un piano di recupero.
I Giudici di Palazzo Spada hanno rigettato, essenzialmente sulla scorta delle motivazioni riportate in massima, le eccezioni mosse da un ente locale sugli esiti del ricorso che, promosso in primo grado, lo aveva visto soccombente e “colpevole” di aver adottato un provvedimento di diniego di modificazione di un piano di recupero sulla base di ragioni (tutela di interessi culturali, ambientali e paesaggistici) tuttavia non contemplati in alcun modo dalla dotazione normativa urbanistica locale.
Le considerazioni poc’anzi rammentate, invero, appaiono in linea con la più generale definizione che la giurisprudenza ha dato dell’istituto, il quale «è per sua natura finalizzato ad organizzare razionalmente ed esteticamente il patrimonio edilizio preesistente, avendo come connotazione tipica – che ne individua anche i limiti oggettivi – quella di disciplinare la conservazione, ricostruzione e riutilizzazione del patrimonio preesistente» (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 7.10.1997, n. 2468).
In tal senso, se il piano di recupero rientra nel la categoria degli strumenti attuativi della pianificazione urbanistica, è ovvio e ragionevole dedurre che la modificazione dei contenuti di un piano di recupero (così come di un piano attuativo o particolareggiato) passa, preliminarmente, dalla rinnovazione del procedimento di revisione dello statuto urbanistico interessato, nel quale ultimo la pianificazione di recupero si innesta come momento esecutivo e di dettaglio dell’intervento riqualificante che, per sua insindacabile scelta (politica) l’amministrazione ha valutato e deciso di porre in essere.
Vero è, tuttavia, che la modificazione “non essenziale” dello strumento in discussione è, tuttavia, sempre ammissibile con la semplice modificazione dei contenuti del piano medesimo (e, pertanto, con la ripetizione del medesimo iter procedimentale che aveva portato all’approvazione dello strumento urbanistico particolareggiato).
Per converso, va precisato che costituisce “modificazione essenziale” di un piano di recupero – e, perciò, tale da essere esclusa se non preceduta da apposita variante (prima ancora che ai contenuti del p.r., anche) allo strumento urbanistico generale – quella modifica che, ove approvata sic et simpliciter, produce un sostanziale contrasto fra la nuova previsione e quelle del vecchio piano in questione «idoneo a sovvertire i caratteri essenziali del suddetto strumento» attuativo (si segnala in merito un, pur risalente, T.A.R. Piemonte, sez. II, 5.12.1988, n. 540).
Inoltre, il Giudice amministrativo torna a rammentare che un diniego di modificazione al piano di recupero non può, però, fondarsi su ragioni che esulano completamente dal novero di quelle poste alla base della pianificazione urbanistica generale (e di quella, conseguentemente, particolareggiata e attuativa).