Presidente, quello pescarese sarà un congresso fortemente influenzato e – quindi – dedicato all’evento sismico che ha colpito L’Aquila lo scorso aprile?
“La nostra intenzione è far sì che l’assise pescarese non sia unicamente caratterizzata dalla tematica del terremoto. L’evento di categoria dovrà essere contrassegnato da un importante approfondimento sulle questioni legate alla sicurezza e al ruolo dell’ingegneria all’interno della società contemporanea.
L’immaginario collettivo è legato ad una figura di professionista che si occupa soprattutto di temi sismici e strutturali: ma non è così. Il professionista moderno è attivo in numerosi ambiti economici e sociali, e quindi parlare solo del terremoto sarebbe estremamente riduttivo. Ovviamente l’evento sismico, in ogni caso, avrà il suo spazio, visto che un’intera sessione di lavori sarà dedicata ad un’analisi approfondita sul terremoto, con la partecipazione di numerosi esperti del settore, professori e tecnici che forniranno informazioni scientifiche preziose sulla reale portata del sisma aquilano, su quanto è stato fatto e quanto ancora è da fare. Inoltre, sarà l’occasione per fare il punto sul costante impegno degli ingegneri a favore delle popolazioni colpite: in circa due mesi di impegno il CNI, d’accordo con la Protezione Civile, ha inviato oltre seicento tecnici sul posto per la verifica dell’agibilità degli edifici”.
Un evento nel quale si cercherà di ribadire e rafforzare il ruolo dell’ingegneria nella società attuale.
“L’ingegnere ha già un ruolo consolidato ed importante, lo ha per sua natura. Ora la questione è come svolge tale prerogativa: il nostro auspicio, e convincimento, è che il professionista sia sempre corretto nella sua attività, conscio del valore aggiunto di garanzia e tutela offerta alla collettività. Certo, spesso le aspettative nei nostri confronti sono fin troppo eccessive: prova ne sia proprio il terremoto in Abruzzo, dove inizialmente siamo stati attaccati da tutti e tacciati di ogni colpa e pecca. Questo perché si pensa che siamo perfetti, che gli ingegneri è impossibile che sbaglino. L’esempio più classico è quello del chirurgo: quando opera ci si aspetta che non fallisca mai, e quando invece succede un intoppo si grida allo scandalo. Ecco, noi siamo in questa situazione. Un’altra questione da valutare è che difficilmente si pone la giusta attenzione su quanto facciamo di concreto, la ribalta ci compete solo in eventi negativi o quando le responsabilità sono davvero limitate, proprio come a L’Aquila. Ecco perché ci piacerebbe che il nostro ruolo professionale fosse più visibile: ed ecco perché a Pescara, piuttosto che parlare dei crolli degli edifici, faremo delle proposte realizzabili per lo sviluppo del Paese”.
Sarà anche l’occasione per parlare dell’ipotesi per la definizione di una proposta di legge di riforma dell’ordinamento della professione di ingegnere, presentata nella recente assemblea dei presidenti.
“Si tratta di una novità importante, senza dubbio, non ancora definita nei suoi minimi termini. E’ un documento elaborato dal Centro Studi del Cni e durante i lavori congressuali sarà approfondito ulteriormente nelle sue prescrizioni fondamentali. Il nostro obiettivo è arrivare alla mozione finale con un canovaccio utile per poter poi tracciare le linee guida per la legge sulle professioni, che dovrà esaltarne le capacità e le peculiarità”.
Altro tema di discussione, il famigerato percorso formativo del 3+2…
“Ci saranno ampi spazi per parlarne. Il 3+2 è un fallimento certificato, anche perché al giorno d’oggi il primo obiettivo è ridare dignità professionale ai triennali e al livello formativo del quinquennale. La nostra posizione è chiara: coloro che sceglieranno di studiare per cinque anni dovranno avere una formazione quinquennale a ciclo unico, senza spezzettamenti. Un’altra questione tuttora da analizzare è la verifica del valore dei livelli professionali, quanti e quali di loro servono e sono davvero utili per la società. Un fatto certo da non sottovalutare”.
Una professione, quella ingegneristica, messa a dura prova anche dall’abolizione dei minimi tariffari.
“Una riforma in tal senso avrebbe senso se si volesse individuare, in linea generale, un legame tra la qualità della prestazione e la retribuzione del professionista, e quindi bisognerebbe seguire un percorso istituzionale obbligato. Se invece ci limitiamo al settore dei lavori pubblici, ambito dove tali ribassi maggiormente si fanno sentire, allora credo sarà necessario escogitare un sistema efficiente per evitare le forti anomalie che si stanno vivendo in questi mesi. Ribassi e retribuzioni eccessivamente al di sotto del normale non permettono di avere prestazioni di qualità, con grandi rischi anche per la sicurezza delle opere da realizzare”.
Presidente Stefanelli, in un momento di crisi così generalizzata, davvero la categoria è a serio rischio di estinzione?
“No, non credo sia così. Oggi l’ingegnere e la sua professionalità è in evidente espansione. In crisi di regole e quindi in difficoltà è semmai la libera professione, che va salvaguardata in tutti i modi. Anche con una selezione naturale del sistema, visto che in certi settori ingegneristici la domanda supera l’offerta”.